Intervista a Nancy McWilliams

Di Davide Rotondi

Dottoressa McWilliams, noi della redazione di Area G abbiamo apprezzato molto il suo ultimo libro “La supervisione” (Ed. Raffaello Cortina, 2022) e ci piacerebbe porle alcune domande in merito al suo lavoro.

Certo, vi ringrazio e risponderò alle vostre domande molto volentieri.

 

Com’è nata l’idea di scrivere un libro sulla supervisione?

Il mio lavoro nasce da una convergenza di diversi elementi. Per prima cosa, l’A.P.A. (American Psychological Association) mi chiedeva da qualche tempo di scrivere un libro sulla supervisione, come co-autrice. Secondo le intenzioni dell’A. P.A. il libro avrebbe dovuto essere una raccolta descrittiva delle competenze tecniche raggiunte dagli analisti, con funzioni di training, nell’ambito del loro lavoro di supervisione. Mi sono resa conto, invece, che io tendo a considerare la supervisione (e sospetto che la maggior parte dei terapeuti ad orientamento psicoanalitico condivida questa  posizione) in termini di costrutti evolutivi, contestuali ed olistici orientati verso l’individualità del supervisionato piuttosto che come una serie di competenze acquisite dal Supervisore stesso .
Inoltre, negli ultimi anni l’A.P.A. ha richiesto che i programmi di laurea in Psicologia Clinica includessero corsi specifici sulla supervisione e  analogamente le associazioni degli psichiatri stanno formulando raccomandazioni simili. Visto poi che anche gli Istituti Psicoanalitici includono nella loro offerta didattica corsi sulla supervisione, mi sono resa conto che sarebbe potuto essere un buon momento per scrivere un libro che integrasse e passasse in rassegna le conoscenze psicoanalitiche su questo tema.
Un altro elemento, probabilmente il più importante, che ha contribuito alla nascita di questo libro, è stato l’arrivo della pandemia e del conseguente periodo di quarantena. La cancellazione di tutti i miei viaggi ed impegni professionali mi ha dato la possibilità di dare inizio a questo lavoro e di dedicarmi ad esso a tempo pieno. Durante questo inatteso periodo di tempo libero, la mia amica Malin Fors mi ha esortato più volte a scrivere. Le sono debitrice per avermi fatto notare che come professionista possiedo una lunga ed ampia esperienza da supervisore; esperienza che include il lavoro con molti terapeuti di diversa nazionalità e formazione clinica, di differenti culture. Inoltre ho supervisionato, nella mia carriera, terapeuti principianti e psicoanalisti esperti.

 

A chi si rivolge il suo libro?

Il mio lavoro si rivolge sia ai supervisori che ai supervisionati e ha l’obbiettivo di aiutare i professionisti indipendentemente dal loro livello di esperienza clinica e di supervisione.
Nonostante si tratti di un testo esplicitamente psicoanalitico, spero possa essere d’aiuto, come lo sono stati altri miei lavori, anche a professionisti di orientamenti diversi da quello psicodinamico. Alcuni capitoli, ad esempio: il quinto capitolo sulle supervisioni di gruppo, il sesto capitolo sull’etica del supervisore e il nono, rivolto direttamente ai clinici in supervisione, sono trasversali ad ogni orientamento, mentre altri, come il settimo che tratta la supervisione presso gli istituti di formazioni psicoanalitica, sono strettamente o maggiormente rivolti a terapeuti di orientamento psicoanalitico.

 

Quali sono gli elementi che caratterizzano un buon lavoro di supervisione?

In una buona relazione di supervisione, il clinico supervisionato si sente rispettato, supportato e  sostenuto. Tale atmosfera incoraggia il terapeuta supervisionato ad essere aperto, sincero rispetto a ciò che è avvenuto nel colloquio che sta discutendo con il supervisore e su ciò che ha provato internamente, piuttosto che presentarne una versione modificata al fine di evitare una valutazione negativa. Una relazione di supervisione all’insegna della fiducia, in cui potersi sentire sostenuti, consente ai supervisionati di esprimere l’eventuale disaccordo, di rivelare reazioni controtransferali, di esplorare ricordi personali che la storia del paziente ha stimolato e di elaborare, possibilmente, i propri punti ciechi. Nei casi in cui si riesce ad istaurare una solida relazione di supervisione, il terapeuta supervisionato è in grado di collaborare con il supervisore alla costruzione di interventi clinici appropriati al paziente e alla situazione terapeutica. Interventi che il terapeuta può applicare con tempismo, tatto e creatività e che possono risolvere situazioni di stallo e/o favorire la profondità del lavoro clinico.

 

Quali sono gli ostacoli e le insidie che rendono difficile la supervisione?

La supervisione può diventare molto complessa se non vi è un buon rapporto tra supervisore e supervisionato, specialmente nei casi in cui il clinico in supervisione non ha altra scelta che essere supervisionato da quel particolare mentore. Non sempre il clinico in supervisione ha la possibilità di cambiare il proprio supervisore. Nel caso in cui non sia possibile farlo, o nei casi in cui il clinico si trovi male anche con il supervisore successivo, esiste la possibilità di provare a migliorare l’esperienza di supervisione. In diversi punti del libro tratto queste problematiche offrendo idee ed ipotesi volte a ridurre questo tipo di stress. Come ogni relazione, la supervisione comporta un certo grado di rispetto e conforto reciproci e diadi differenti evocano differenti alchimie relazionali.

L’ostacolo peggiore (e penso che sia piuttosto raro, perché solitamente le persone che ambiscono a diventare psicoterapeuti possiedono caratteristiche temperamentali quali sensibilità ed empatia) sorge in situazioni in cui il supervisore si rende conto chiaramente che l’aspirante clinico, o analista in formazione, non possiede talento ed attitudine per questo lavoro. Proprio come gli insegnanti di pianoforte suggeriscono agli alunni senza orecchio musicale di non investire in quel tipo di carriera, i supervisori a volte dovrebbero invitare le persone che non possiedono una naturale e sufficiente intelligenza emotiva (ed empatica), a trovare una professione che più si addice alla loro persona. Alcune persone, poi, possiedono le giuste caratteristiche per poter diventare buoni terapeuti, ma possono risultare ugualmente inadatte ad intraprendere un percorso di formazione psicoanalitica, a causa dell’intensità dei sentimenti negativi che i pazienti possono rivolger loro in un trattamento psicodinamico profondo. È una pesante responsabilità dei supervisori quella di far notare ai supervisionati i loro limiti, quando essi possono arrecare danni ai pazienti.

Penso che la supervisione sia più facile della psicoterapia. Questo perché il supervisore ha generalmente a che fare con una persona emotivamente matura, desiderosa di apprendere e soprattutto non oppositiva all’idea di provare nuovi approcci professionali; descrizione, questa, che raramente si applica ai pazienti in terapia. Quando però il lavoro di supervisione incontra serie difficoltà, può diventare un’esperienza realmente dolorosa per entrambe le parti in gioco. Mentre scrivevo il libro, diversi colleghi ed amici mi hanno comunicato storie  che hanno segnato il loro percorso di formazione (che ho inserito nel libro con la loro approvazione) per errori commessi dai loro primi supervisori che ancora oggi li condizionano o dei quali hanno fatto fatica a liberarsi.

All’inizio, essere un supervisore può intimidire, specialmente quando si ha la responsabilità legale dei pazienti del clinico supervisionato. Capita che anche i supervisori abbiano bisogno di aiuto per differenziare, in modo chiaro, il ruolo educativo del mentore, dal ruolo, di natura più evocativa, del terapeuta. A volte vi è una sovrapposizione delle due aree, ma la supervisione è un’attività diversa dalla psicoterapia e spesso noi terapeuti non disponiamo di insegnamenti idonei ad apprenderla. Spero che il mio libro contribuisca a ridurre il divario tra le conoscenze empiriche delle quali disponiamo riguardo all’attività di supervisione e ciò che di esperienziale viene insegnato da clinici esperti, su come aiutare i supervisionati a diventare terapeuti sempre più sicuri, qualificati ed efficaci.

 

Dott.ssa McWilliams, grazie mille per la sua disponibilità e la sua professionalità, da parte di tutta la redazione di Area G.

Grazie a voi, ho risposto con molto piacere alle vostre domande. Un caro saluto e buon lavoro.

la supervisione

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