Io sono un drago, il titolo della mostra della Triennale, prende spunto da un disegno di Sandro Mendini. Disegno in cui le diverse parti del corpo del drago/Sandro rivelano i diversi aspetti di questo poliedrico artista (artista, architetto, designer, poeta, artigiano, manager etc).
Posseggo un vecchio libro dei disegni di Mendini. Ne ha fatti tantissimi (molti sono presenti in
mostra). Parlando con un vecchio amico, che la mostra l’aveva già vista, mi sono tornati in mente e gli ho chiesto cosa ne pensasse appunto dei disegni. Risposta: “sembrano quasi fatti da un bambino”.
Nella mostra si può vedere un bel film in cui Mendini viene intervistato. A proposito del suo disegnare sottolinea la spontaneità che li caratterizza simile a quella dei bambini, dei malati di mente e dell’arte primitiva. Certo e con il suo corpo di drago che abbraccia il tutto.
La mostra è bellissima. Scelgo cose qua e là.
Oggetti di design: Pinocchio imbuto, il cavatappi antropizzato. Modellini di architettura di diversi progetti realizzati e non. Il cavaliere di Durer, cavaliere piazzato su un alto piedistallo, lancia in resta, guarda lontano, aspetta… Poi ancora
tanti disegni.
Le sue stanze dai nomi emblematici. Stanza del secolo, stanza banale, stanza filosofica.
All’interno mobili con colori e segni sfrontati e di sottintesa malinconia.
Radical melancholy (melanconia radicale), re design (rinnovare gli oggetti esistenti), fragilismo ricorrono nella sua attività di direttore di famose riviste di design, negli oggetti artistici, in tutta sua attività.
Nel film di cui abbiamo già detto, Mendini racconta di come nel periodo del 68 la sua aspirazione fosse la distruzione del sistema borghese e come poi, con il passare degli anni, lui stesso fosse diventato un borghese. Sperava, almeno, di essere diventato un borghese ‘buono’. Un borghese capace di utopia. Capace di credere in alcune cose ‘buone’, anche se difficilmente realizzabili o di credere che comunque alla fine del tunnel si può trovare un po’ di luce.