Il ritorno di Casanova

Di Davide Rotondi

L’ultimo film di Gabriele Salvatores (regista vincitore, con il suo splendido Mediterraneo, del Premio Oscar come miglior film in lingua straniera nel 1992) si intitola “Il ritorno di Casanova” e il suo cast è composto, tra gli altri, da Toni Servillo, Fabrizio Bentivoglio, Antonio Catania e Natalino Balasso.
Alternando bianco/nero e colori, la trama si sviluppa lungo due linee narrative parallele, una delle quali è contenuta nell’altra.

La doppia storyline funziona da espediente meta-narrativo con il quale il regista racconta un film dentro al film (esperienza che ricorda il teatro nel teatro di Pirandello).
L’acclamato regista Leo Bernardi e il cavaliere seduttore Giacomo Casanova sono due persone che stanno vivendo una fase di declino esistenziale.
Intrappolati, per troppo tempo, in un’onnipotenza narcisistica che non ha permesso loro di vivere la vita in modo autentico, i due protagonisti si sono abituati ad esistere esclusivamente come protagonisti di un film; ovvero rappresentazioni idealizzate di loro stessi, alimentate sul piano di realtà dalla posizione sociale e dal denaro.
L’inesorabile scorrere del tempo e la vecchiaia minano le loro nostalgiche e patinate certezze e li portano ad odiare ed invidiare le nuove generazioni, non considerate in un’ottica generativa ma temute come pericolosi avversari da sopprimere.
Riusciranno i due protagonisti a trovare il coraggio di riappropriarsi della propria vita, esponendosi alle fragilità e vulnerabilità che essa naturalmente comporta?

La pellicola è confezionata in un’estetica autoriale che possiede, a tratti, la fruibilità della commedia, il risultato è molto godibile e lo rende un film per tutti i palati.
Sullo sfondo, come terzo protagonista insieme a Casanova e al maestro Leo Bernardi, c’è il cinema, con il suo linguaggio e il suo rapporto, sempre affascinante, tra finzione e realtà (all’interno del film sono presenti diverse citazioni cinematografiche: da Kubrick a Fellini, passando per Hitchcock).

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