Philip Bromberg

Clinica del trauma e della dissociazione – Standing in the spaces

Di Davide Rotondi

Chi è l’autore?
Philip Bromberg è stato riconosciuto come uno degli psicoanalisti più originali della contemporaneità. Di orientamento interpersonalista-relazionale, è stato analista supervisore con funzione di training al William Alanson White Institute. Il libro è edito Raffaello Cortina.

Di cosa parla?
“Standing in the spaces” (titolo originale del libro) è una raccolta ventennale di saggi dell’autore che, nell’esporre la sua visione sulla clinica del trauma e della dissociazione, ripercorre le tappe fondamentali dell’evoluzione del pensiero psicoanalitico.
Secondo Bromberg l’origine della psicopatologia risiede sempre nel trauma reale e multiplo, l’autore mette così in relazione la dimensione traumatica con la dissociazione.
L’evento traumatico deraglia la linearità soggettiva del senso di Sé e ne minaccia la continuità, per questo la persona traumatizzata avvia difensivamente (e in modo inconsapevole) un processo autoipnotico che anestetizza ed isola il dolore; la dissociazione permette quindi alla mente di fuggire dalla propria soggettività per evacuare il dolore.
La sofferenza viene pertanto relegata all’interno di un Sé dissociato ed escluso ma questo, per l’autore, è un processo che non origina esclusivamente dal trauma.
Bromberg sostiene, infatti, che la dissociazione si possa considerare anche una funzione strutturante della mente umana, essa protegge l’Io (nella sua evoluzione) da stati dolorosi e sofferenti.
Il dialogo tra queste due prospettive sulla dissociazione (come funzione strutturante e come funzione difensivo-patologica) conduce allo studio della mente come un insieme di configurazioni Sé-Altro piuttosto frammentarie e più o meno dissociate; la capacità di stare negli spazi (“Standing in the spaces”) consiste proprio nell’essere in grado di attivare un dialogo costante, una fluttuazione consapevole, tra i diversi stati del Sé.
Con numerose e complesse esemplificazioni cliniche, Bromberg illustra come sia possibile per l’analista, attraverso l’enactment, muoversi tra i territori degli stati del Sé dissociati propri e del paziente.
Quando questo accade, è possibile attivare un vero dialogo tra parti di Sé altrimenti impossibilitate a comunicare, tale dialogo permette al paziente (e al clinico) una maggiore consapevolezza ed autoriflessione, un senso di linearità unitaria ed integrata e la simbolizzazione dei conflitti interni. Ciò che l’autore chiama “sentirsi uno in molti”.

Perché consigliarlo?
Il libro, a mio parere, aiuta lo psicoterapeuta, il clinico o l’analista ad aprirsi ad una visione della mente, propria e dei propri pazienti, come moltitudine di Sé. Fornisce, inoltre, interessanti spunti sull’utilizzo dell’enactment e delle situazioni di impasse analitica.

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