Chi è l’autore?
Philip Bromberg è stato riconosciuto come uno degli psicoanalisti più originali della contemporaneità. Di orientamento interpersonalista-relazionale, è stato analista supervisore con funzione di training al William Alanson White Institute. Il libro è edito Raffaello Cortina.
Di cosa parla?
Per comprendere appieno “Destare il sognatore”, dobbiamo fare un passo indietro ed immergerci nella concezione di funzionamento mentale dell’autore. Bromberg concepisce la mente umana come una moltitudine di stati del Sé più o meno dissociati tra loro; un buon funzionamento, autentico e creativo, prevede costanti fluttuazioni ed interscambi tra stati del Sé, ciò che l’autore chiama “essere uno in molti”.
Ma che cosa avviene quando, nel percorso di vita di una persona, subentrano aspetti traumatici?
Il trauma (esperienza reale non simbolizzabile e non pensabile) attiva la dissociazione, quindi la mente della persona traumatizzata isola l’esperienza traumatica e la separa dagli stati del Sé non traumatizzati, per garantire una continuità nucleare-identitaria (ed evitare la disgregazione).
Gli stati del Sé dissociati e segregati non scompaiono, ma formano un arcipelago di isole Sé distaccate tra loro e non comunicanti. Un pesante bagaglio che la persona traumatizzata si porta dietro inconsapevolmente, precludendosi la possibilità di vivere autenticamente il presente e di immaginare il futuro. Invece di essere in grado di affrontare “quello che mi è accaduto”, la persona entra in terapia per affrontare ciò che è sicura le accadrà o quello che le sta accadendo ora.
Destare il sognatore significa portare in seduta le parti dissociate del paziente tramite sogni e ricordi per poi dotarle di significato lavorando sugli enactment e con le self-disclosure.
L’enactment, secondo l’autore, è un fenomeno clinico che coinvolge paziente e analista, portando in scena aspetti dissociati del paziente che diventano difficilmente gestibili dall’analista, il quale tenderà a sua volta a dissociare. Invece di negarlo, o considerarlo semplicemente come un “agito”, l’analista dovrebbe esperire l’enactment con partecipazione ed accogliere gli stati del Sé dissociati del paziente che possono “destarsi” in uno spazio intersoggettivo co-costruito dalla coppia analitica.
Quando entrambi, paziente e analista, possono accedere e condividere apertamente (mediante l’utilizzo di self-disclosure) pensieri e sentimenti dissociati (di origine traumatica), l’esternalizzazione della relazione del paziente con i suoi oggetti interni diventa allora disponibile alla negoziazione intersoggettiva, all’autoriflessione e alla risoluzione del conflitto. In altre parole, si potrebbe dire che, così facendo, si costruiscono ponti tra quelle isole Sé che prima erano totalmente segregate e non connesse tra loro. Il paziente si riappropria di aspetti dissociati e memorie traumatiche che può collocare nella sua storia di vita, ripristinando un autentico senso di continuità del Sé.
Perché consigliarlo?
Il lavoro di Bromberg può essere utile ai clinici per familiarizzare con concetti teorici di difficile utilizzo clinico, quali “enactment” e “self-disclosure”, considerati dall’autore condizioni necessarie per una psicoterapia autentica, efficace e relazionalmente orientata.
