A Firenze in mostra i frammenti di storia emotiva di Louise Bourgeois
“Tutto il mio lavoro trova ispirazione nella mia infanzia. La mia infanzia non ha mai perduto la sua magia, il suo mistero e la sua drammaticità”.
-Louise Bourgeois –
Restano ancora pochi giorni per visitare la doppia mostra fiorentina dedicata al lavoro di Louise Bourgeois (Parigi, 1911 – New York, 2010). Al Museo del Novecento e all’Istituto degli Innocenti va in scena un percorso dedicato ai temi della nascita, del ciclo della natura e alle istanze della femminilità, fra angoscia di perdita, paura e desiderio di vicinanza.
L’artista francese ha lavorato tutta la vita sulla sua infanzia e sul trauma dell’abbandono, lo ha fatto senza chiudersi nella contemplazione autobiografica, ma dando vita ad una produzione che ha tratto ispirazione dalla propria storia emotiva per aprire a molteplici suggestioni e ad altrettante chiavi interpretative.
Diventata celebre all’età della pensione, dopo avere archiviato il ruolo di moglie del critico americano Robert Goldwater nella New York degli anni d’oro, Bourgeois oggi è considerata una delle creative più rivoluzionarie del Novecento e le sue opere sono citate all’interno di articoli di psicanalisti, come immagini pittografiche capaci di offrire una chiave d’accesso all’inconscio.
Nata da una famiglia di restauratori di arazzi della borghesia parigina, Bourgeois si è distinta per una poetica che affonda le radici in una fanciullezza segnata dalla perdita di fiducia nei confronti del padre adultero e dalla scomparsa prematura della madre, dopo una lunga malattia. Uno strappo affettivo che segnerà tutta la produzione artistica di questa donna che ha portato avanti l’analisi col Dottor Lowenfeld per oltre trent’anni anni. L’allievo di Sigmund Freud accompagnò la Bourgeois a “riconoscere la centralità del suo stallo edipico come nucleo traumatico della sua organizzazione psichica”, come è riportato nei cartigli che documentano la relazione terapeutica dell’artista, ritrovati nella sua casa dopo la morte.
Presso il Museo Novecento, la mostra dal titolo evocativo Do Not Abandon Me, consta di cento opere, tra gouache su carta, sculture in marmo, installazioni in bronzo e sperimentazioni in tessuto, offrendo un racconto sulla maternità che non ha nulla di edulcorato.
Se il centro del chiostro ospita due ragni intrecciati che camminano assieme, alludendo alla diade madre- bambino (Spider Couple ,2003), il culmine del percorso espositivo si raggiunge con le gouache purpuree. Macchie di colore realizzate stendendo inchiostro liquido su carta bagnata, per evocare fluidità corporee, ambienti amniotici, ventri e seni che alludono alla fertilità, ma anche immagini di fiori che paiono organi interni, per un cortocircuito di proiezioni.
Di forte impatto emotivo anche la produzione, nata dal sodalizio creativo con l’artista britannica Trace Emin, che dà il titolo alla mostra: stampe digitali su tessuto nelle quali riecheggia il tema dell’origine della vita, fra feti, cordoni ombelicali e nutrimento.
Chiudendo il percorso narrativo tornando alle origini, se secondo l’alfabeto di Louise Bourgeois il padre è la cella la madre è il ragno, a Firenze sono visibili entrambi. Presso l’Istituto degli Innocenti è protagonista Cell XVII (Portrait), mentre presso il Museo del Novecento campeggia un ragno in bronzo che sovrasta un uovo in marmo, rimandando all’ambivalenza tra protezione materna e ossessione per il controllo.
Informazioni utili
Do Not Abandon Me
A cura di Philip Larratt-Smith and e Sergio Risaliti
Museo Novecento
22.06 – 20.10.2024
Cell XVIII (Portrait)
A cura di Philip Larratt-Smith
con Arabella Natalini e Stefania Rispoli
Museo degli Innocenti
22.06 – 20.10.2024