Chi è l’autrice?
Jessica Benjamin è una psicoanalista statunitense tra i maggiori esponenti dell’orientamento relazionale, il suo libro “Il riconoscimento reciproco” (edito Raffaello Cortina) è stato pubblicato in Italia nel 2019 ed è un lavoro che racchiude vent’anni di studio, pratica clinica, esperienza e dialogo.
Di cosa parla?
Attenta al confronto dialogico costante tra modelli psicoanalitici classici e relazionali, l’autrice individua nelle dinamiche di complementarità (“chi agisce – chi è agito”) e di unità (“tu sei me – io sono te”) le principali cause di impasse relazionali e analitiche. Secondo Benjamin, la tendenza dell’analista è quella di rifugiarsi nel mito del “contenitore perfetto”, un’idea di infallibilità difensiva, per fronteggiare il potere distruttivo di tali dinamiche. Tale tendenza, dalle connotazioni scissionali, non fa altro che rinforzare le antiche dissociazioni (del paziente e dell’analista) e ri-traumatizzare il campo analitico.
La soluzione offerta dall’autrice è invece quella di “abbandonarsi alla Terzietà”: riconoscere e testimoniare la propria fallibilità di analisti-persone ed iniziare, con l’Altro, a co-costruire una ritmicità sincronica e danzante, costituita dal riconoscimento reciproco e dal dialogo tra esperienze di rottura e riparazione, che ella paragona al concetto di gioco winnicottiano.
La Terzietà è una dimensione relazionale nella quale è possibile la risoluzione delle dinamiche di complementarità e di unità; uno spazio che non è né tuo, né mio, ma nostro, che ospita due diverse soggettività che convivono senza annientarsi e che si possono riconoscere come simili e diverse allo stesso tempo.
Secondo l’autrice, ogni relazione, analitica e non, basata sul riconoscimento reciproco autentico, è comprensiva di un equilibrio oscillante tra tre matrici relazionali interiorizzate: il “terzo ritmico” (capacità di riconoscere la vicinanza-sincronia dell’Altro all’interno della relazione), il “terzo differenziante” (capacità di riconoscere l’Altro nella dimensione di distanza-differenza che la relazione inevitabilmente implica) ed il “terzo morale” (essere in grado di testimoniare la sofferenza e la fallibilità dell’Altro tendendo ad un ideale di mondo giusto). Rispetto a quest’ultimo concetto è molto interessante il racconto della Benjamin del suo lavoro con gruppi misti composti da persone israeliane e palestinesi; saper testimoniare la sofferenza dell’altro aiuta a superare ruoli polarizzati e predeterminati come quelli di vittima e carnefice.
In questa dimensione di autentico riconoscimento reciproco, è fondamentale, per l’autrice, che l’analista accetti ed elabori il senso di perdita, la vulnerabilità ed il fallimento, così come i suoi errori e le sue incertezze. Per fare ciò il clinico può ricorrere al gioco, all’enactment e all’autosvelamento: concetti che l’autrice approfondisce ed arricchisce con la sua visione.
Perché consigliarlo?
Il libro della Benjamin è un lavoro denso e articolato che fornisce preziosi spunti su nuove prospettive dell’esperienza della pratica clinica. Un testo prezioso per qualunque persona (analisti, psicoterapeuti e non addetti ai lavori) che si interessi all’autenticità della relazione con l’altro, all’ascolto sincero e che valorizzi la riparazione come spinta verso la reciprocità.
