Come narra Virgilio nell’Eneide, Laocoonte, sacerdote troiano, tenta di avverire i suoi concittadini dell’inganno ordito dai Greci per entrare in città con il famoso cavallo. ‘Timeo Danos et dona ferentes’ (temo i Greci anche quando portano doni)
Non viene ascoltato dai Troiani che, stanchi della guerra, non prendono in considerazione i suoi ammonimenti.
Gli dei che sostengono i Greci inviano terribili serpenti che uccidono Laocoonte e i suoi figli.
Nel quadro di El Greco (nato a Creta), all’interno della mostra di Palazzo Reale, i corpi del sacerdote troiano e dei figli che cercano di divincolarsi dai mostruosi serpenti, i colori del cielo e della città di Toledo, che fa da sfondo, sono decisamente ‘espressionisti’.
Ma qui inizia un’altra storia.
La statua del Laocoonte (invito ad andare a vederla su internet) fu ritrovata in una vigna sul colle Oppio di Roma nel 1506 e subito riconosciuta come copia romana, descritta da Plinio, di un originale greco. Divenne fonte di ispirazione per generazioni di artisti e anche El Greco ne subì il fascino. Alla statua mancava un braccio. Lo ritrovo’, da un rigattiere, Ludwig Pollack archeologo, mercante d’arte e collezionista. In seguito lo donò ai Musei Vaticani dove era esposta la statua.
Pollack era ebreo. Ebbe nel 1917 diversi incontri con Freud che gli dette l’incarico di catalogare la sua collezione e che acquisì da lui una lastra di sarcofago del II sec dc.
Una comune attitudine allo ‘scavo’ li contraddistingue: interiore per Freud, archeologica per Pollack, con uno sguardo al passato.
Pollack e la sua famiglia furono portati ad Auschwitz nel 1943 e di loro non si seppe più nulla.