Narcisismo: prime concettualizzazioni

Di Andrea Brenna

Il narcisismo è un concetto ampio a articolato di cui si dibatte in ambito psicoterapeutico e psicoanalitico da più di un secolo. Negli ultimi decenni questo termine si è diffuso capillarmente nella nostra società, divenendo una parola di uso comune impiegata per lo più con accezione dispregiativa: come sinonimo di egoismo, di eccessivo orgoglio o autoesaltazione, di arroganza, di amore esclusivo per sé oppure come desiderio di ammirazione o atteggiamento sprezzante nei confronti degli altri.                                                   

La psicoanalisi ha fin dagli albori intrattenuto un dialogo privilegiato con la mitologia greca, i cui personaggi hanno ispirato idee e teorie. Il narcisismo ne è un esempio e infatti la storia di Narciso, giovane di straordinaria bellezza e vanità, sentimento che lo condurrà a un tragico epilogo, ha stimolato a distanza di secoli il pensiero di molti autori. L’etimo greco di narciso è narkè, il cui significato di torpore, sonno, stupore (da cui anche “narcotico”), rimanda a un immobilismo che, come nel caso del celebre mito, si può rivelare letale.

Esistono diversi lavori nel corpus freudiano che hanno contribuito ad approfondire il pensiero psicoanalitico sul narcisismo, tra questi posso citare Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci (1910), l’analisi del caso Schreber (1910), Introduzione al Narcisismo (1914) e Lutto e Melanconia (1917). In estrema sintesi, Freud considera il narcisismo come un momento di passaggio indispensabile del normale sviluppo della personalità, situato “a metà strada tra l’autoerotismo e l’amore oggettuale”. Con “amore oggettuale”, egli intende la capacità di provare autenticamente dei sentimenti per l’altro, affermando quindi la necessità di superare questa fase a metà strada” per raggiungere la maturità psichica adulta.                                                                                                                                 Arricchirà poi la sua teoria con nuovi contributi, quali il concetto di “Io ideale” e individuando una primaria forma di narcisismo collocata in una precoce fase di sviluppo, quando il bambino non può ancora percepirsi come una persona separata da chi si prende cura di lui. 

Egli identificherà poi una componente sana e una patologica del narcisismo:

  • la prima si riferisce alle forze interne del soggetto che “spingono” in favore della conservazione della vita e della sua realizzazione;
  • la seconda si verifica quando il soggetto perde interesse per la realtà rivolgendo le sue energie psicofisiche esclusivamente a sé (come nel caso della psicosi di Schreber).

Fino ad ora abbiamo visto come con lo stesso termine si possano indicare: uno stadio di sviluppo della personalità comune a tutti gli individui, una componente sana e una deriva patologica. 

Ulteriori sviluppi

Negli ultimi decenni si sono affermate principalmente due correnti di pensiero riguardo al tema del narcisismo: la prima prende in considerazione la relazione tra bambino e ambiente di riferimento (le persone che si occupano di lui), la seconda invece descrive il narcisismo più su un versante relativo alla psicopatologia. 

Nel primo modello, alcuni autori tra cui Winnicot e Kohut, sostengono che lo sviluppo di una personalità armonica dipenda:

  • da una sana idealizzazione da parte dei genitori che infondono così nel bambino un senso di fiducia per il futuro;
  • dalla sensibilità e dalle capacità intuitive dei caregivers di riconoscere bisogni e stati emotivi del bambino, rispondendovi in modo sufficientemente adeguato. È fondamentale che vi siano anche quelle necessarie frustrazioni, purchè tollerabili, utili a strutturare una mente capace di affrontare le difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. 

Possiamo sintetizzare queste funzioni con il concetto di rispecchiamento, in cui il bambino sente di potersi affidare con speranza, “consapevole” di essere una persona significativa per gli adulti di riferimento. Chi non ha potuto sperimentare questo sentimento con costanza a causa di ripetute mortificazioni, potrebbe in futuro percepirsi come una persona dotata di poco valore, con il rischio di sviluppare una personalità remissiva, passiva, eccessivamente compiacente o immatura. Spesso, quando questo tipo di soggetti deve affrontare situazioni stressanti o fasi critiche della vita (adolescenza, entrata nella vita adulta o le crisi cosiddette di mezza età ecc.), possono comparire sintomi d’ansia o veri e propri attacchi di panico, che, secondo una visione più attuale, non sono il prodotto di un conflitto interno, di un dubbio irrisolvibile, ma piuttosto testimoniano una frattura identitaria.

Se il modello appena descritto indaga le funzioni strutturanti della mente da un punto di vista relazionale, il secondo si sofferma con maggiore attenzione alle dinamiche interne della personalità narcisistica. In quest’ottica, fu soprattutto Rosenfeld ad apportare i contributi più importanti. Egli sottolinea come il senso di grandiosità, di superiorità e l’invidia (per il successo altrui per esempio) inficino la possibilità di creare relazioni sane: l’altro, l’amico, il partner, il collega, non è percepito come una persona separata, dotata di desideri e stati emotivi propri, ma diventa un oggetto da sottomettere. Inoltre egli aggiunge che la severità della psicopatologia dipende anche da ciò che viene idealizzato: se vengono esaltati il dominio, il trionfo sull’altro o la crudeltà per alimentare il piacere (vedi i Vip di Squid Game), siamo in un’area anti-relazionale. Molti analisti sono concordi nel pensare che questi soggetti abbiano vissuto precoci esperienze di deprivazione emotiva, e che, per difendersi dall’angoscia, abbiano sovvertito i rapporti di dipendenza, illudendosi di essere superiori e immuni da qualsiasi sofferenza. Da qui la nota fragilità che caratterizza la personalità narcisistica. 

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