Chris Fuhrman

Vite pericolose di bravi ragazzi

Di Marta Grossi

In terza media, per noi Gesù Cristo era stato chiacchiere e farina di ossa per la maggior parte dei suoi 1974 anni. Ma avevamo solo tredici anni. Eravamo temerari, banditi.

Così inizia l’intenso libro scritto da Chris Fuhrman, prima e ultima opera di un autore che è morto poco dopo aver concluso il libro.

Vite pericolose di bravi ragazzi racconta la storia di Francis, un ragazzino originario di Savannah, Georgia, negli anni ‘70, e della sua compagnia di amici, tra cui spicca l’esile e brillante Tim, che sembra troppo immenso per poter vivere dentro il piccolo corpo che gli è stato assegnato per nascita.

In una cattolicissima America del Nord Francis e i suoi amici sfidano regole e convenzioni sociali a suon di disegni oltraggiosi e scorribande pericolose, che li portano a sfidare i limiti fino ad arrivare a farsi davvero del male, emblema del rischio rappresentato dall’età adolescenziale, soprattutto quando vissuta senza la possibilità di incontrare un mondo adulto che sia si da sfidare, ma che sia anche capace di contenere e accompagnare, di dare parole e non botte alle esperienze giovanili.

Fuhrman, forse perché consapevole dell’avvicinarsi della sua morte (durante la stesura del romanzo gli era stata diagnosticata una malattia mortale), riesce a tornare vividamente in contatto con l’esperienza adolescenziale intrisa di vita e di morte,  di somiglianze e differenze, di agiti pericolosi, e a riscriverla per il lettore in un linguaggio in grado di regalare un viaggio nel tempo preziosissimo per chi si occupa di ragazzi e ragazze che, seppur nella specificità dei tempi attuali, sono alle prese con sfide evolutive e identitarie universali.

Leggendo Vite pericolose di bravi ragazzi ci si immerge nuovamente nella meraviglia dei primi incontri amorosi, nella possibilità di conoscersi e riconoscersi simili ed estranei attraverso l’incontro dei corpi, vivi e pulsanti. Ci si ricorda del fascino esercitato da alcuni amici, così illuminati e così disperati, incredibilmente vicini ad un tormento che proprio in quegli anni sembra esplodere come torcia nella notte, altrettanto capace di illuminare e incendiare la via.

Ci si accorge però, forse con una consapevolezza diversa rispetto a un tempo, della solitudine dell’età adolescenziale, della distanza abissale che intercorre tra i giovanissimi protagonisti e gli adulti, troppo spesso incapaci di abitare una terra di mezzo che possa mettere in comunicazione due mondi così diversi; ci si rende conto con apprensione dell’angoscia dell’adolescenza, dell’intrico di emozioni e sfide che la caratterizzano e che spingono Francis, Tim e i loro amici a compiere un’azione insensata, temeraria, pericolosa, tragica.

Vite pericolose di bravi ragazzi, già dal bellissimo titolo, è un alleato per tutti quegli adulti consapevoli che, diventando grandi, si apre una frattura tra il tempo presente e il tempo passato, ma che hanno il coraggio di chiedere aiuto all’arte per rivivere tutte quelle sensazioni drammatiche e esaltanti che fanno dell’adolescenza quel momento cruciale nella crescita di ogni individuo.

Ogni adulto è la creatura di un bambino…. La mia vita è il risultato dei sogni e dei limiti di quel ragazzino, e della banda che aveva tanto tempo fa, quando ancore le cose potevano succedere per la prima volta.

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